INTERVENTO CPN del PRC

Il risultato delle recenti elezioni amministrative -particolarmente penalizzanti per il PRC- è ulteriore segnale, semmai ve ne fosse ancora bisogno, del fallimento della linea perseguita dal gruppo dirigente e della sua nocività per la vita stessa del partito.Gli indirizzi generali e le scelte di collocazione, non solo hanno disatteso il dichiarato obiettivo di spostare a sinistra l’Unione, ma hanno ulteriormente compromesso l’orientamento alternativo del PRC, finendo per identificarlo con il carattere arretrato di questo governo e per corresponsabilizzarlo in scelte che hanno deluso le aspettative di effettiva discontinuità con il governo delle destre e soprattutto hanno risposto in modo contrario ai bisogni reali dei ceti deboli, particolarmente quelli di riferimento per il partito.Mentre, anzi, le conseguenze per il partito sono state la riduzione della sua forza e del potere contrattuale, la già forte egemonia centrista nel centrosinistra si è fatta ormai carattere identitario, con segnali sempre più forti di organico sbocco neo-centrista.Le responsabilità del vicolo cieco in cui è stato infilato il PRC pesano in modo esplicito sull’attuale gruppo dirigente. Vi pesano a maggior ragione perché, al momento in cui è stata forzata la scelta dell’alleanza organica con l’Unione, non sono stati residuali nel partito la percezione e l’allarme circa i rischi della piena corresponsabilizzazione nel governo. Allarme di cui le sinistre interne si sono fatte portatrici ripetutamente, non mancando di sottolineare l’esigenza di percorrere la strada dell’appoggio esterno; un appoggio che avrebbe ugualmente garantito l’alt alle destre, ma che insieme avrebbe conservato al partito l’autonomia necessaria, l’agibilità e la credibilità di riferimento per i lavoratori e tutti gli altri ceti deboli colpiti dalle scelte imposte dall’egemonia centrista.Così facendo, oggi avremmo avuto un partito più forte, agibile nel porre con la necessaria autorevolezza il rispetto degli impegni elettorali e una effettiva lettura da sinistra del genericismo del programma dell’Unione, e non un partito alla quotidiana ricerca ormai dell’espediente meno impresentabile per coprire le contraddizioni sempre più palesi dell’attuale collocazione.
Una “correzione”, questa, perseguita spingendo, in vario modo, al superamento di fatto del PRC, prima forzando l’obiettivo della Sinistra Europea e procedendo poi, nello stesso solco, verso nuove ipotesi aggregative nelle quali far confluire il partito; ipotesi, queste ultime, che corrono sul doppio filone -tutto interno all’attuale maggioranza, quali facce della stessa medaglia- di chi punta “tout court” al superamento del partito e di chi ne prevede una solo formale “continuità”, entro “contenitori unitari” dagli orizzonti depurati dell’identità comunista alternativa alla società capitalistica e stemprati in un riformismo del “compatibile”. Per il PRC,invece, il problema non è una scorciatoia organizzativistica, tutta dentro una logica speculare di rincorsa al Partito Democratico, quella “cosa rossa” in cui diluire il partito, dal carattere di esplicita elisione della “diversità comunista”. Per i comunisti -non pochi, dentro e fuori il PRC- l’impegno è mantenere in piedi ed in modo efficace un coerente riferimento alternativo, dai caratteri e dalle dimensioni organizzative che rifiutino l’ottica della “rifondazione del comunismo” fuori dalla scia dell’Ottobre, intesa a svuotarne essenza e finalità, magari prendendo a spunto affermazioni di chi, dall’alto degli scranni istituzionali, arriva ormai a parlare di tratti di capitalismo “buono”; un impegno che si traduca nel tornare ad operare lungo un processo rifondativo orientato a correggere i limiti e gli errori conseguenti alle verticalizzazioni sopravvenute nell’esperienza dell’Ottobre e a riproporre il senso degli obiettivi di questa esperienza, attraverso le strade nuove necessarie nell’oggi, nell’attualità dello scontro di classe, in grado di fare i conti con le dimensioni “diverse” maturate dall’organizzazione capitalistica nel mondo. Al contrario, anche di fronte all’evidenza, questo gruppo dirigente ha continuato a tirare dritto; così, invece di operare per una necessaria correzione di linea -anch’essa ripetutamente invocata dalle minoranze interne- ha finito per muovere le cose verso una “correzione” di identità e motivazioni fondanti del partito.Una “correzione”, questa, perseguita spingendo, in vario modo, al superamento di fatto del PRC, prima forzando l’obiettivo della Sinistra Europea e procedendo poi, nello stesso solco, verso nuove ipotesi aggregative nelle quali far confluire il partito; ipotesi, queste ultime, che corrono sul doppio filone -tutto interno all’attuale maggioranza, quali facce della stessa medaglia- di chi punta “tout court” al superamento del partito e di chi ne prevede una solo formale “continuità”, entro “contenitori unitari” dagli orizzonti depurati dell’identità comunista alternativa alla società capitalistica e stemprati in un riformismo del “compatibile”.Per il PRC,invece, il problema non è una scorciatoia organizzativistica, tutta dentro una logica speculare di rincorsa al Partito Democratico, quella “cosa rossa” in cui diluire il partito, dal carattere di esplicita elisione della “diversità comunista”.Per i comunisti -non pochi, dentro e fuori il PRC- l’impegno è mantenere in piedi ed in modo efficace un coerente riferimento alternativo, dai caratteri e dalle dimensioni organizzative che rifiutino l’ottica della “rifondazione del comunismo” fuori dalla scia dell’Ottobre, intesa a svuotarne essenza e finalità, magari prendendo a spunto affermazioni di chi, dall’alto degli scranni istituzionali, arriva ormai a parlare di tratti di capitalismo “buono”; un impegno che si traduca nel tornare ad operare lungo un processo rifondativo orientato a correggere i limiti e gli errori conseguenti alle verticalizzazioni sopravvenute nell’esperienza dell’Ottobre e a riproporre il senso degli obiettivi di questa esperienza, attraverso le strade nuove necessarie nell’oggi, nell’attualità dello scontro di classe, in grado di fare i conti con le dimensioni “diverse” maturate dall’organizzazione capitalistica nel mondo.
Altra cosa è il doversi rapportare anche con le nuove dimensioni istituzionali ed elettorali che, da destra come da sinistra, puntano ormai ad irrobustire la logica bipolare e rendere sempre meno fruibili e più formali le agibilità democratiche ad ogni livello. Sono problemi reali, rispetto ai quali c’è da ricercare delle risposte efficaci. Risposte che, per un verso, quello della rappresentanza istituzionale, attengono a questioni di semplice natura “tecnica”; per altri versi -quali il peso specifico della pressione nel e sul governo, le battaglie politiche sul piano di massa e il loro orientamento alternativo ed altro ancora- le risposte vanno ricercate fuori dalle scorciatoie che si vanno profilando intorno ad un “nuovo soggetto” della sinistra. Un terreno costruttivo ed efficace per queste risposte è senz’altro l’impegno a fondo - dal basso, nel vivo delle lotte- per far crescere, nella fase, uno “schieramento plurale” fra tutte le forze che rifiutano la conclusione centrista, sempre più vasto ed incisivo; uno schieramento che alimenti e sostenga il conflitto, la vertenzialità e i movimenti di lotta, ma non vi si sovrapponga, che ne supporti gli sbocchi, che ne faccia l’humus capace di smascherare e sconfiggere il centrismo nel contesto reale della società, anche come progressiva maturazione di condizioni per una presenza ai vari livelli istituzionali, a partire da quelli territoriali, che risulti determinante nel far pesare gli interessi dei ceti non parassitari nelle scelte generali e negli indirizzi gestionali. In questo contesto l’autonomia e la chiara caratterizzazione anticapitalistica del riferimento comunista sono indispensabili per non soffocare e far finire eliso definitivamente un reale processo alternativo. Altro che superamento!

Altro discorso è prendere atto delle “movimentazioni” che vanno disarticolando la sinistra, a partire dall’involuzione rappresentata dalla nascita del Partito Democratico e dalle possibili conseguenze sul piano di ulteriori forzature neo-centriste.Altra cosa è il doversi rapportare anche con le nuove dimensioni istituzionali ed elettorali che, da destra come da sinistra, puntano ormai ad irrobustire la logica bipolare e rendere sempre meno fruibili e più formali le agibilità democratiche ad ogni livello.Sono problemi reali, rispetto ai quali c’è da ricercare delle risposte efficaci. Risposte che, per un verso, quello della rappresentanza istituzionale, attengono a questioni di semplice natura “tecnica”; per altri versi -quali il peso specifico della pressione nel e sul governo, le battaglie politiche sul piano di massa e il loro orientamento alternativo ed altro ancora- le risposte vanno ricercate fuori dalle scorciatoie che si vanno profilando intorno ad un “nuovo soggetto” della sinistra.Un terreno costruttivo ed efficace per queste risposte è senz’altro l’impegno a fondo - dal basso, nel vivo delle lotte- per far crescere, nella fase, uno “schieramento plurale” fra tutte le forze che rifiutano la conclusione centrista, sempre più vasto ed incisivo; uno schieramento che alimenti e sostenga il conflitto, la vertenzialità e i movimenti di lotta, ma non vi si sovrapponga, che ne supporti gli sbocchi, che ne faccia l’humus capace di smascherare e sconfiggere il centrismo nel contesto reale della società, anche come progressiva maturazione di condizioni per una presenza ai vari livelli istituzionali, a partire da quelli territoriali, che risulti determinante nel far pesare gli interessi dei ceti non parassitari nelle scelte generali e negli indirizzi gestionali.In questo contesto l’autonomia e la chiara caratterizzazione anticapitalistica del riferimento comunista sono indispensabili per non soffocare e far finire eliso definitivamente un reale processo alternativo. Altro che superamento!
Per questo occorre, innanzitutto, come fatto ormai non più eludibile, investire in modo diffuso e a tutti i livelli il corpo del partito, a partire dai livelli di militanza più attiva, nel merito di due aspetti prioritari, anche in vista dell’ormai prossimo congresso. Il primo è la rapida determinazione delle condizioni necessarie per riconseguire l’autonomia dal governo Prodi, prima che la situazione degeneri al punto da essere obbligata subalternità e che il partito paghi un prezzo ancora più alto. Purtroppo, allo stato delle cose, è di “riduzione del danno” per il partito che dobbiamo parlare per poterci porre sul terreno del rilancio. Il secondo aspetto, anch’esso da conseguire rapidamente, riguarda la vita e l’orientamento del partito: l’attuale Direzione Politica va superata e va fatto in riferimento ad un chiaro ed esplicito cambiamento di linea, scongiurando qualsiasi ricorso a semplici e già in qualche modo ventilati “correttivi” nominalistici, quali aggiustamenti di tiro tutti interni all’attuale maggioranza, magari puntellata da qualche “buon ultimo” apporto. E’ tempo che si enuclei una nuova Direzione Politica, fatta maturare dal basso, partendo dalle realtà e dalle istanze territoriali, attraverso una rivitalizzazione del confronto interno sul bilancio del partito e sulle sue prospettive, ma soprattutto attraverso la concretezza dell’azione per un ritorno al radicamento nei territori e al rilancio dell’iniziativa di massa. Una nuova Direzione Politica che, è bene tornare a ribadirlo, insieme ad altre cose, risulti prioritariamente impegnata a riportare vita generale e azione del partito entro i confini delle sue naturali motivazioni, che restano primariamente il superamento del capitalismo, la centralità degli interessi delle classi non parassitarie, il rifiuto della guerra come mezzo di composizione delle contraddizioni capitalistiche, la dimensione planetaria dello scontro di classe espressa dalla ricostituzione dell’internazionale comunista e la funzione d’avanguardia del partito nel perseguimento di questi indirizzi strategici.
Ovviamente il riferimento alternativo va reso effettivo ed agibile.Per questo occorre, innanzitutto, come fatto ormai non più eludibile, investire in modo diffuso e a tutti i livelli il corpo del partito, a partire dai livelli di militanza più attiva, nel merito di due aspetti prioritari, anche in vista dell’ormai prossimo congresso.Il primo è la rapida determinazione delle condizioni necessarie per riconseguire l’autonomia dal governo Prodi, prima che la situazione degeneri al punto da essere obbligata subalternità e che il partito paghi un prezzo ancora più alto. Purtroppo, allo stato delle cose, è di “riduzione del danno” per il partito che dobbiamo parlare per poterci porre sul terreno del rilancio. Il secondo aspetto, anch’esso da conseguire rapidamente, riguarda la vita e l’orientamento del partito: l’attuale Direzione Politica va superata e va fatto in riferimento ad un chiaro ed esplicito cambiamento di linea, scongiurando qualsiasi ricorso a semplici e già in qualche modo ventilati “correttivi” nominalistici, quali aggiustamenti di tiro tutti interni all’attuale maggioranza, magari puntellata da qualche “buon ultimo” apporto.E’ tempo che si enuclei una nuova Direzione Politica, fatta maturare dal basso, partendo dalle realtà e dalle istanze territoriali, attraverso una rivitalizzazione del confronto interno sul bilancio del partito e sulle sue prospettive, ma soprattutto attraverso la concretezza dell’azione per un ritorno al radicamento nei territori e al rilancio dell’iniziativa di massa.Una nuova Direzione Politica che, è bene tornare a ribadirlo, insieme ad altre cose, risulti prioritariamente impegnata a riportare vita generale e azione del partito entro i confini delle sue naturali motivazioni, che restano primariamente il superamento del capitalismo, la centralità degli interessi delle classi non parassitarie, il rifiuto della guerra come mezzo di composizione delle contraddizioni capitalistiche, la dimensione planetaria dello scontro di classe espressa dalla ricostituzione dell’internazionale comunista e la funzione d’avanguardia del partito nel perseguimento di questi indirizzi strategici.

PASQUALE D'ANGELO(Area Prog. OTTOBRE)

Manifesto del Partito Comunista

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