Abbiamo donato il nostro affetto a coloro che hanno perso tutto.

La notizia del terremoto che ha colpito L’Aquila e l’Abruzzo giunge inaspettata dalla radio un lunedì mattina come tanti, presto, appena alzato. Subito il pensiero si rivolge ai tanti amici che vi vivono ed alla città che è stata capace di farti innamorare di sé con l’accoglienza dei suoi abitanti e con le sue meraviglie architettoniche. Non è il momento di starsene fermi a casa, a svolgere la vita di sempre, a riposarsi dallo studio durante le vacanze pasquali, ultimo pit-stop prima della maturità. La paura, il senso di colpa di starsene con le mani in mano mentre in Abruzzo si soffre è troppo forte, nasce dall’interno, è viscerale, per cui il decidere di rendersi disponibili a partire è questione di un attimo. Come fare? In serata vengo a sapere che Rifondazione organizza brigate di solidarietà attiva, è stata montata una cucina, c’è bisogno di compagni volontari. Martedì mattina, a scuola, si sparge la voce tra i compagni di classe, e nel giro di un paio d’ore di greco è tutto deciso, si va giù in cinque. Chiamiamo i compagni di Pescara, una volta giunti lì saranno loro a portarci a Tempera, il paese “adottato” dal Prc. Si preparano gli zaini, pesantissimi perché c’è bisogno di tutto, e c’è sempre la maledetta impressione di essersi dimenticati qualcosa. Mercoledì mattina ci si trova in stazione alle 6, Vicenza - Padova, Padova - Pescara, e il lungo viaggio si fa portatore di aspettative e timori.
La Federazione di Pescara sembra più una cantina che una sede di partito, tanto è oberata di scatoloni, coperte, cibarie e tante altre cose. C’è un via vai continuo di compagni che organizzano, classificano, smistano e caricano sui camioncini gli aiuti destinati agli sfollati del campo di Tempera, che poi scopriremo essere collocato nella frazione di San Biagio. Una signora pescarese si avvicina: “Ho portato queste scarpe, possono servire?”
Il viaggio da Pescara a San Biagio, a bordo di un camioncino, è il passaggio che collega due mondi diversi: da una normale città ad un paesaggio che, finora, si era visto solo nei film di guerra. Macerie, ambulanze, pompieri, colonne dell’esercito, protezione civile, tante sirene e lampeggianti. Posti di blocco. Le tende blu, anche queste viste solo in televisione, che ospitano i terremotati. Il campo di San Biagio, quello dove staremo una settimana, organizzato dai compagni di Rifondazione, è ancora in fase di allestimento. “Potete appoggiare un attimo gli zaini e darci una mano a montare questo tendone?”. Viene allestito in mezzo ad un prato una sorta di campeggio per i volontari, ognuno con la propria tenda. Un compagno issa con un bastone la bandiera del PCI, un altro appende alla sua tenda quella di Rifondazione. Anche se nella tragedia, è sempre bello poter stare tra i compagni. Alla sera c’è da preparare la cena. Manca l’acqua corrente, perciò per lavare la verdura bisogna usare una fontanella in mezzo al paese, a 3oo metri dal campo. La distruzione. Portando insalata e spinaci, ti rendi conto di cosa voglia dire. Case crollate, travi e termosifoni in mezzo alla strada, l’asfalto di un campetto da calcio strappato dalla terra. Proprio di fronte alla fontana dell’acqua c’è una casa tagliata a metà, è possibile ancora riconoscere la camera da letto, con una madonnina ancora appesa al muro, ed un bagno, con gli spazzolini ancora dentro il bicchiere poggiato sopra il lavandino.
La settimana scorre lentissima. C’è da fare di tutto. Lavare, cucinare, scaricare i camion che portano gli aiuti al campo, allestire un magazzino, servire agli sfollati i pasti. Le giornate cominciano prestissimo, bisogna preparare le colazione, dopo notti di sonno leggero e mai continuo a causa delle continue scosse di terremoto che ti fanno sussultare sulla brandina e del freddo attanagliante che non ti molla un secondo. Si dorme dentro un sacco a pelo con cinque coperte. Di giorno invece fa un caldo feroce. Organizziamo una sorta di asilo popolare per i bambini, una quindicina, che vivono nel campo. Due psicologhe si fanno carico di analizzare i traumi dei più piccoli e di traghettarli verso una vita più “normale”. I più provati sono gli anziani: hanno lottato una vita per ottenere qualcosa, in venti secondi hanno perso tutto. La fatica va accumulandosi di giorno in giorno, ma più di tanto non le dai peso, sai che c’è bisogno di te, e la presenza dei compagni è fondamentale per alleggerire la situazione e sopportare il lavoro frenetico e senza pause. Ogni giorno alcuni compagni partono, altri arrivano: viterbesi, pisani, romani, abruzzesi, torinesi, vicentini, umbri, napoletani ed altri ancora, alla faccia del federalismo. Ognuno col proprio dialetto, la propria cadenza, le proprie esperienze e preoccupazioni, ma uniti per una causa comune. Un valore umano inestimabile, che da il meglio di sé la sera tardi, quando il lavoro è finito e ci si trova attorno al fuoco, a scaldarsi e parlare, per organizzare i turni della giornata successiva, per scambiarsi le impressioni, semplicemente per stare un po’ assieme. Vino rosso, grappa e genziana aiutano a combattere il freddo, anche se i compagni più puntigliosi fanno notare che gli alcolici sono vasi dilatatori, quindi aiutano a congelare prima. Vengono coperti da insulti affettuosi. Non è possibile fare alcun paragone tra il tipo di politica, quella della solidarietà attiva, messa in piedi dai compagni, e la politica dei sorrisi, delle strette di mano e delle promesse che passa attraverso i media nazionali. Troppa umanità contro troppa vacuità, non c’è partita.
Dopo qualche giorno che siamo presenti al campo, cominciamo ad occuparci anche di qualche altro paese, coinvolto in maniera minore rispetto ad altri dal terremoto,ma i cui abitanti hanno comunque bisogno di tutta l’assistenza possibile. A Camarda, poco distante da Tempera, gli sfollati hanno potuto consumare il primo pasto caldo dopo 5 giorni dal terremoto, grazie alla cucina da campo montata proprio dai compagni. Sono realtà distanti dalla propaganda di regime che passa sui media, le difficoltà sono tante, mancano ancora molte cose, e neppure la tendopoli meglio attrezzata del mondo potrà mai sostituire nel cuore degli sfollati la casa che in troppi hanno perduto.
Oltre all’attività nelle tendopoli, i compagni si occupano della distribuzione “porta a porta” dei generi di prima necessità: molte persone hanno deciso di non trasferirsi nei campi, ma di rimanere vicino alle loro case, in camper, roulotte o semplicemente montando una tenda in giardino; queste persone mancano di molte cose, perciò vengono loro portate con dei camion e distribuite. Partecipando a queste distribuzioni fa impressione notare l’importanza che viene attribuita in momenti di crisi e precarietà profonde come questo a cose essenziali,come lo zucchero, che nella vita di tutti i giorni non occupano neppure per un istante le nostre preoccupazioni. E un “grazie” sincero, che ti viene rivolto da qualcuno con gli occhi lucidi, ripaga di tutto il lavoro e fa sparire la stanchezza.
Il tempo di permanenza al campo è finito. Altri compagni arrivano a dare il proprio contributo e danno il cambio a quelli che l’hanno già fatto. E’ tristissimo salire in treno e allontanarsi dai luoghi che con i loro problemi e difficoltà, con le loro basilari necessità hanno assorbito le tue energie fisiche e mentali per una settimana lunga come una vita. L’impegno preso ora è quello di tornare, tra qualche mese, per poter nuovamente dare il proprio apporto, coordinando nel frattempo dai territori l’invio di materiali e il supporto “logistico” ai compagni in loco. Il terremoto ha cancellato completamente la storia millenaria di moltissime città e la vita passata di centinaia di migliaia di persone, che ora devono ripartire daccapo e lottare per potersi costruire un futuro. I compagni e le compagne con cui abbiamo lavorato in questi giorni e, ne sono sicuro, tutti coloro che si renderanno disponibili da qui in avanti, rappresentano un ottimo punto di partenza e appoggio per gli abruzzesi per poter continuare a sperare. Ora, purtroppo in assenza di un passato,è il futuro l’unico orizzonte possibile.

Alvise Ferronato - Giovani Comunisti di Vicenza

Manifesto del Partito Comunista

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