Primo maggio: una storia che testimonia la lotta per il progresso sociale

Festa nazionale a L’Aquila, con l’intervento dei tre segretari di Cgil, Cisl, Uil. A San Giovanni, a Roma, il grande concerto. In Europa il tradizionale appuntamento compie quest’anno 120 anni.
ROMA – La festa del lavoro si coniuga storicamente con le lotte operaie e con il movimento di emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Basti pensare che la scelta della data fu dovuta essenzialmente al fatto che, nello Stato americano dell’Illinois, dopo una lunga rivendicazione, si era deciso di ridurre l’orario di lavoro a otto ore giornaliere a partire proprio dal 1° maggio del 1867.

Ma gli inizi furono incerti. Pochissimi imprenditori erano disposti ad abbassare l’orario giornaliero di lavoro. In quell’anno altri Stati americani (New York, Connecticut) avrebbero introdotto la “giornata corta” e il movimento operaio americano organizzò moltissime manifestazioni per evidenziare la volontà di lotta delle masse.

Nella scelta della data alcuni storici hanno voluto vedere anche ragioni più profonde, legate a tradizioni e folclore della cultura contadina. Maggio è il mese in cui si allenta il lavoro nei campi, dopo le seminagioni primaverili. Secondo altri, come lo storico delle religioni Mircea Eliade, maggio segna l’inizio di un movimento generale di rinnovamento spirituale dell’uomo in molte tradizioni teistiche.

Senza dubbio le prime organizzazioni sindacali videro nella festa del lavoro un’occasione di rinnovamento: il tentativo di spostare l’asse della giustizia sociale in direzione dei più deboli e di limitare lo strapotere e la violenza del capitalismo.

L'anarchico Gaetano Bresci vendicò l'eccidio perpetrato da Bava Beccaris con l'attentato mortale a Umberto I

Il 1° maggio 1886, un piccolo sindacato da poco costituito in America (la Federation of Organized Trade and Labor Unions –FOTLU) organizzò una grande manifestazione nazionale per la difesa delle otto ore, alla quale partecipò una massa enorme di persone. Le tensioni dilagarono anche nei giorni successivi, soprattutto a Chicago, dove il 3 maggio la polizia uccise alcuni manifestanti. Il giorno successivo, durante un comizio, una bomba fu lanciata contro le forze dell’ordine provocando alcuni morti. La repressione fu enorme. Furono incriminati alcuni gruppi di anarchici, alcuni dei quali furono impiccati. Nel 1990 il 1° maggio fu di nuovo lanciato dal movimento operaio americano come data “simbolo” della rivendicazione per le otto ore.

In Europa, la data ufficiale cui si deve fare riferimento è il 1889, a partire dalla quale, per iniziativa francese (come documenta lo storico del movimento operaio Edouard Dolléans), si decise di festeggiare il lavoro in tutte le sue articolazioni e come punto di partenza per lo sviluppo del movimento socialista internazionale. Secondo il grande storico marxista Eric Hobsbawn, il 1° maggio perse definitivamente la sua connotazione di rivendicazione settoriale per la giornata lavorativa, diventando una «asserzione annuale della presenza di classe». Il movimento socialista nei primi anni del secolo aveva bisogno di una presenza continua fra le masse e in fabbrica e, per questo, la festa del lavoro diventò un importante elemento di questa strategia politica.

Il bandito Giuliano, autore della strage a Portella delle Ginestre il 1° maggio 1947

Nel 1891 la Prima Internazionale decise di proclamare la festa dei lavoratori proprio in quella data. In Italia il movimento socialista, per merito soprattutto di Arturo Labriola, riuscì a porre all’attenzione dell’opinione pubblica quella che venne subito denominata la “questione operaia” ed anche Papa Leone XIII ne affrontò il peso nell’enciclica “Rerum Novarum”.La data in cui si celebra la festa dei lavoratori è dunque indissolubilmente legata all’emancipazione delle masse operaie e, purtroppo, anche alle stragi e agli eccidi perpetrati dal potere. A Milano, nel 1898, a sette giorni di distanza dalla festa dei lavoratori, durante le sommosse per il pane da parte di una popolazione affamata, il famigerato generale Fiorenzo Bava Beccaris, dopo la proclamazione dello stato di assedio da parte del presidente del consiglio Antonio di Rudinì, ordinò di sparare cannonate contro i manifestanti, causando la morte di 80 civili e provocando oltre 450 feriti. Due anni dopo, l’anarchico Gaetano Bresci vendicò quei morti sparando in pieno petto al re Umberto I, che ne era stato indubbiamente il massimo responsabile.

Avvenne, invece, proprio il 1° maggio di quarantanove anni dopo il più grave eccidio di lavoratori della terra a Portella delle Ginestre. Il partito comunista e il sindacato avevano riunito i contadini e le loro famiglie in una piana a 845 metri di quota, fra i comuni siciliani di San Giuseppe Jato, San Cipirello e Piana degli Albanesi. Lì tradizionalmente, a partire dalla fine dell’Ottocento, i “fasci dei lavoratori”, per opera di un medico socialista, Nicola Barbato di Corleone, si radunavano con sporte e bottiglie di vino ad ascoltare il comizio del medico. In quel giorno del 1947, sarebbe dovuto arrivare il leader Girolamo Li Causi, che invece fu impedito all’ultimo istante da impegni di partito. Salvatore Giuliano, “Turiddu” per i suoi sostenitori, un bandito sanguinario foraggiato dal movimento indipendentista siciliano prima e dalla Democrazia Cristiana poi in funzione anticomunista, organizzò l’agguato, sparando con i mitra sulla popolazione indifesa e causando 11 morti e 27 feriti, molti dei quali bambini. Era lì principalmente per fare fuori Li Causi, considerato scomodo anche dalla mafia. Fallì l’obiettivo principale ma compì la strage degli innocenti. Oggi molti storici concordano nel ritenere quell'eccidio la prima tappa della strategia della tensione, alimentata nel nostro Paese dai servizi segreti e da settori deviati delle forze dell'ordine, per arginare il "pericolo rosso" e indurre gli italiani a richiedere un Governo d'ordine, appoggiato dalla Cia e dal partito post-fascista.

A distanza di più di 120 anni dalla sua proclamazione, la festa del lavoro non solo ricorda le vittime della lotta per il progresso sociale ma testimonia del disagio di vaste masse di persone, nei Paesi sviluppati e soprattutto in quelli poveri, in un sistema economico globalizzato dove una giusta distribuzione del reddito e l’equità sociale costituiscono ancora le mete fondamentali da raggiungere.
(di F.Lo Cicero fonte Dazebao)

Manifesto del Partito Comunista

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