Intervento assemblea 18 luglio Roma

A Vicenza l’opposizione al progetto di costruzione della nuova base militare
USA al Dal Molin continua, da tre anni, ad essere determinata e popolare,
proprio perché espressione di diverse sensibilità ed identità sociali, mosse
innanzitutto dalla necessità di rispondere all’idea assurda di una
militarizzazione quasi totale del territorio.
Vale la pena ricordare che la presenza militare USA risale agli anni 50 e che
oggi sono presenti ben 6 basi militari dentro ed intorno a Vicenza (la più
importante è la Caserma Ederle), per un totale di un milione e 300mila mq.
Oltre a ciò Vicenza è sede della gendarmeria europea.
Con il Dal Molin si arriverebbe ad occupare circa 3 milioni di mq di
territorio.
Tutte queste porzioni di territorio sono sottratte al controllo democratico
della popolazione, che non può entrarvi ed assai poco si conosce di cosa
avviene là dentro.
La natura di questa presenza è mutata nel corso degli anni ed oggi la Caserma
Ederle è la sede del comando strategico Africom, istituito di recente, perché
il continente africano è divenuto sempre più importante per gli interessi USA,
sia per la ricchezza delle sue risorse sia sul piano della competizione con l’
espansione politico-commerciale della Cina.
Perciò si vuole costruire una nuova base al Dal Molin, nonostante quell’area
sia il polmone verde della città, per potervi riunificare la 173 brigata
aviotrasportata, militari scelti, con compiti di pronto intervento in Africa e
nelle aree di crisi individuate dal governo USA.
Queste logiche di guerra e di dominio sono estranee agli interessi ed alla
sensibilità della popolazione vicentina e la risposta di massa che vi è stata
ha permesso, nel corso di questi tre anni, di maturare capacità di
mobilitazione e di informazione attraverso assemblee e convegni in materia
ambientale, urbanistica, giuridica ed anche geopolitica.
La battaglia per la pace che si sviluppa a Vicenza e che trova radici
profonde nella storia territoriale, a partire dal contributo dato alla
Resistenza al nazifascismo, è espressione dell’autodeterminazione dei popoli, è
esclusione della guerra come soluzione delle controversie e dei contrasti tra
popoli, è rifiuto della militarizzazione dei territori e degli spazi sociali.
Una battaglia questa che non va disgiunta dall’azione di contrasto al
rafforzamento dell’egemonia USA nel mondo, né va confusa con una non ben
definita “multilateralità”, che rischia di materializzarsi come accozzaglia fra
capitalismi, un po’ come i vari G8 (o G20, o altro ancora se si vogliono
comprendervi i capitalismi emergenti), che finiscono per farsi “consigli di
amministrazione”, oltretutto subordinati, del nuovo capitalismo, di cui oggi il
volto “nuovo” di Obama è solo l’espressione più ripulita.
I movimenti come quello del Dal Molin sono composti da diverse forze e
soggettività, ed è un fatto che molte persone si siano mosse anche a partire
dalla propria identità sociale come, tra gli altri, gli insegnanti, i medici e
gli studenti.
C’è necessità di garantire l’autonomia ed il pluralismo del movimento, del
nostro come di tutti gli altri, anche accettando il contributo di partiti e
sindacati che si sono espressi e mobilitati contro il Dal Molin.
E’ solo in questo modo, tra l’altro, che si possono smascherare le
contraddizioni di chi agisce sul piano istituzionale senza un collegamento con
le lotte alla base della società.
A questo proposito, le recenti dichiarazioni del Sindaco Variati, che ora si
dice favorevole ad uno spostamento del progetto nella zona est della città,
la dicono lunga sulle contraddizioni del PD e la facilità con cui il mandato
degli elettori può essere tradito, nonostante le promesse fatte in campagna
elettorale.
E’ bene tornare a ribadire che i movimenti non vanno intercettati o
strumentalizzati come fatto di potere contrattuale. Essi sono in sé espressione
della presa di coscienza e del rifiuto della verticalizzazione, nella quale,
purtroppo, a sinistra si è andati sempre più scadendo; sono esigenza del
rovesciamento dei termini del potere, dai vertici alla base, e dunque rifiuto
delle tendenze bipartitiche che servono a blindare il piano istituzionale. Se
si allontanano (anche elettoralmente) dai riferimenti alternativi, ciò è dovuto
in primo luogo alla riproposizione di verticismo e strumentalità nei loro
confronti.
Occorre muoversi in modo che i movimenti possano tornare anima della lotte
alternative nella centralità delle lotte nei territori.
Auspico che questa assemblea di oggi serva in questo senso e dia risposte a
tutte le altre esigenze di cui ha realmente bisogno il movimento di lotta.
Per questo credo necessario scongiurare qualsiasi “precipitazione
organizzativistica” verso semplificazioni da “partito unico”, espressione, tra
l’altro, di vertici ed apparati.
Va, invece, operato perché il da farsi sia il risultato dell’organizzato che
vive nei territori e si rapporta alle problematiche di lotta.
Una eventuale ipotesi federativa, che oggi è posta all’attenzione di questa
iniziativa, è esigenza imposta dalla situazione politica e, perciò, strumento
per coordinare l’azione delle componenti alternative più conseguenti, in
alternativa al PD, contro le destre e la ristrutturazione capitalistica. Non
può che essere, insomma, l’espressione del pluralismo alternativo (esattamente
come plurale è l’espressione dei movimenti), senza sostituirsi alle identità
delle forze che concorrono a determinarla, in quanto l’identità e l’autonomia
di ciascuna componente di un necessario patto per l’unità d’azione sono proprio
elementi di garanzia della dialettica e del pluralismo di cui c’è bisogno per
rilanciare le lotte dentro una prospettiva realmente alternativa al
capitalismo.

Claudia Rancati
del Coordinamento dei Comitati contro il Dal Molin

Manifesto del Partito Comunista

Post popolari in questo blog

Congresso del circolo Gramsci

Il congresso del circolo Gramsci.

Karl Marx ci metterebbe la firma

Karl Marx ci metterebbe la firma